‘Più di una semplice partita’ – Palestina e Bohemian giocano nell’anniversario della Nakba a Dublino

Il Dalymount Park di Dublino subito prima di una partita storica. (Photo: supplied)

By Calcio Rivoluzione

 “It is, of course, so much more than a game”.

Con queste poche ma – allo stesso tempo – significative parole, Matt Devaney, presidente del Bohemian FC di Dublino, ci restituisce il senso ultimo della partita appena andata in scena al Dalymount Park.

È il 15 maggio 2024, giorno del 76esimo anniversario della Nakba, e a Dublino abbiamo appena assistito ad un evento straordinariamente importante. Uno di quelli da libro di storia per intenderci. Quindi se stiamo pensando “ma è una partita di calcio”, siamo completamente fuori strada. Meglio resettare e ripartire.

Siamo a Dublino, al Dalymount Park, e sul rettangolo verde di gioco ci sono da un lato la rappresentativa femminile del Bohemian e dall’altro la nazionale di calcio femminile della Palestina che, per la prima volta nella sua storia, arriva in Europa. È tutto pronto per il calcio d’inizio…

Una partita che, in determinati ambienti, ha generato un hype – per utilizzare un gergo molto in voga di questi tempi nel mondo del marketing pubblicitario – degno dei più importanti ed attesi eventi internazionali. Con una piccola ma sostanziale differenza: non siamo di fronte all’ennesima trovata commerciale di questo o quello sponsor. No. Assolutamente. Anzi.

Questa amichevole, voluta fortemente da tutta la comunità dei Bohs, è qualcosa di molto più simile ad una manifestazione politica – da intendersi nelle sue molteplici sfaccettature – che ad una partita “semplice” di calcio. Su quel rettangolo verde si sta scrivendo un piccolo pezzo di storia.

E lo si capisce a cominciare dalla motivazione che ha spinto la società di Dublino ad organizzare l’evento: raccogliere fondi da destinare ad organizzazioni umanitarie che operano a Gaza per alleviare, per quanto possibile, la sofferenza cui da mesi, anzi decenni, è sottoposta la popolazione palestinese. Ma non solo.

In un clima politico internazionale a dir poco incandescente, dove anche il minimo dissenso nei confronti di Israele e della sua violenza viene messo a tacere – con metodi poco ortodossi – voler fortemente ospitare le atlete palestinesi vuol dire – implicitamente – farsi carico del portato simbolico e politico che un tale evento porta con sé: il sostegno alla causa palestinese. Un qualcosa di assolutamente non scontato. Ancora di più se pensiamo che nel mondo calcio, club ed atleti, fanno veramente fatica a prendere posizione. E che chi lo ha fatto – a favore della Palestina chiaramente – ne ha pagato le conseguenze. A caro prezzo. 

Uno su tutti il calciatore Anwar El Ghazi, licenziato dal suo club per aver espresso solidarietà alla popolazione palestinese ed aver definito quel che sta accedendo in Palestina con il suo nome: genocidio!

Sostegno, senza se e senza ma, alla causa palestinese che affonda le sue radici nella storia stessa del popolo d’Irlanda, che ha conosciuto la brutalità e la violenza del vivere sotto occupazione. Ma anche la forza ed il coraggio di ribellarsi ad essa per vivere in libertà. A costo della propria vita. A costo della vita di migliaia di fratelli e sorelle.

La stessa forza e coraggio, sete di libertà e voglia di giustizia, che oggi contraddistingue la Resistenza palestinese e che, inevitabilmente, porta il popolo d’Irlanda a solidarizzare con essa. 

Un leame speciale tra due terre geograficamente lontane, lontanissime ma idealmente vicinissime. Qualcosa probabilmente difficile da cogliere o anche solo percepire per chi osserva dall’esterno. Difficile anche solo da spiegare. Le parole sembrano non bastare. 

Insufficienti a restituire quel che vuol dire vivere in esilio o peggio ancora nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Meglio, allora, provarci prendendo a prestito le parole di Charlotte Phillips, portiere della selezione femminile palestinese: “La mia speranza per il futuro è che, come gli irlandesi hanno raggiunto la loro liberazione attraverso la resistenza, anche noi saremo in grado di raggiungerla”.

Basterebbe probabilmente ciò che si è sottolineato fino ad ora per sostanziare quanto detto in apertura: it is more than a game. È più di una partita. Ma così facendo si lascerebbe fuori dalla narrazione un altro pezzo, altrettanto importante, di quel che ha rappresentato questa partita. Una vera e propria manifestazione politica in tutte le sue sfaccettature.

Perché politico non è solo il sostegno simbolico ad una causa. Politico è soprattutto il fare qualcosa di concreto per cambiare le cose. Sporcarsi le mani. Incidere – o almeno provarci – nella realtà. 

Politico è, prendendo in prestito le parole di Antonio Gramsci, prendere parte. Ed è esattamente quel che ha fatto la comunità del Bohemian organizzando questa partita, perché come detto da un’altra calciatrice palestinese, Jennifer Shattara, this game wasn’t about winning or losing; it’s about solidarity.

Solidarietà ovvero quell’atteggiamento spontaneo, o concordato, rispondente a una sostanziale convergenza o identità di interessi, idee, sentimenti. Una semplice parola che racchiude in sé una potenza enorme. 

Quella stessa solidarietà che sta portando a galla tutte le falsità e contraddizioni di una narrazione, quella secondo cui Israele sarebbe la più grande democrazia del Medio-Oriente, creata ad hoc per legittimare una delle più grandi ingiustizie che l’umanità abbia mai conosciuto.

Quella stessa solidarietà che dagli Stati Uniti alla Spagna, passando per l’Italia ed il Belgio, sta facendo emergere il protagonismo studentesco che sta portando all’occupazione di decine e decine di Università per chiedere che si interrompa qualsiasi collaborazione con le Istituzioni accademiche di uno stato illegittimo e genocidario.

Quella stessa solidarietà che ha portato al sold out del Dalymount Park in pochissime ore e che ha spinto le oltre 2500 persone presenti il giorno della partita a riempire gli spalti con i colori della Palestina.

Uno stadio che per un giorno si è trasformato nello spazio fisico dove migliaia di persone hanno potuto testimoniare un qualcosa di fondamentale: l’esistenza della Palestina. Detta così potrebbe sembrare banale ma non lo è affatto. È, anzi, il cuore della questione. Più delle violenze, più delle minacce, più di ogni altra cosa. Perché questi sono gli strumenti che il sionismo utilizza per raggiungere il proprio obiettivo: cancellare ogni traccia dell’esistenza del popolo palestinese.

Un popolo che, con estrema dignità , forza e coraggio, trova sempre il modo e l’occasione per affermare la propria esistenza. Anche attraverso una partita di calcio…

Loro (i sionisti) pensavano di potersi sbarazzare di noi ma non ci sono riusciti. Questa (partita) è la prova della nostra esistenza.

Calcio Rivoluzione è un collettivo di appassionati di calcio che sa che lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Hanno contribuito questo articolo al Palestine Chronicle.

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