By Romana Rubeo & Ramzy Baroud
Quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è partito da Tel Aviv alla volta di Roma, il 9 marzo scorso, è stato trasportato in elicottero all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv perché i manifestanti antigovernativi avevano bloccato tutte le strade circostanti.
Anche in Italia, la visita di Netanyahu non è stata accolta con molto entusiasmo. Gli attivisti filopalestinesi hanno organizzato un sit-in nel centro di Roma sotto lo slogan ‘Non sei il benvenuto’. La traduttrice italiana Olga Dalia Padoa si è rifiutata di tradurre il suo discorso in una sinagoga di Roma, previsto per il 9 marzo.
Persino Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, pur ribadendo con forza il suo sostegno a Israele, ha espresso preoccupazione per lo stato di salute delle istituzioni statali israeliane.
A Tel Aviv, intanto, il viaggio di Netanyahu in Italia è stato aspramente criticato dal leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid che lo ha definito “un inutile fine settimana a spese del Paese”. Ma il viaggio di Netanyahu in Italia aveva altri obiettivi, oltre al weekend romano o a creare una distrazione dalle proteste in corso in Israele.
In un’intervista al quotidiano italiano La Repubblica, pubblicata il 9 marzo, il primo ministro israeliano ha spiegato gli obiettivi del suo viaggio in Italia. “Vorrei vedere una maggiore cooperazione economica”, ha detto. “Abbiamo il gas naturale: ne abbiamo in abbondanza e vorrei parlare di come portarlo in Italia per sostenerne la crescita economica”.
Nelle ultime settimane, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha fatto la spola tra diversi Paesi in cerca di gas. Meloni non solo vuole garantire il fabbisogno energetico del suo Paese dopo la crisi russo-ucraina, ma vuole che Roma diventi un importante hub europeo per l’import e l’export di gas. Israele lo sa bene, ed è particolarmente cauto sul fatto che i grandi accordi sul gas dell’Italia in Algeria il 23 gennaio possano minare la posizione economica e politica di Israele in Italia, soprattutto perché l’Algeria continua a essere un baluardo della solidarietà palestinese in tutto il Medio Oriente e l’Africa.
Netanyahu aveva ben altri problemi, oltre al gas. “Sul fronte strategico, discuteremo dell’Iran. Dobbiamo impedire che aderisca a un programma nucleare perché i suoi missili potrebbero raggiungere molti Paesi, compresa l’Europa, e nessuno vuole essere ostaggio di un regime fondamentalista dotato di armi nuclear”, Netanyahu ha spiegato, con il solito linguaggio allarmistico e infarcito di stereotipi sui suoi nemici mediorientali.
Le richieste avanzate da Netanyahu all’Italia sono di due ordini: non votare contro Israele alle Nazioni Unite e, soprattutto, riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Sebbene Gerusalemme Est sia considerata dalla comunità internazionale una città palestinese occupata, Netanyahu vuole che Roma cambi la sua posizione storica, coerente con il diritto internazionale, in virtà della fragile retorica di una presunta “forte e antica tradizione che lega Roma e Gerusalemme”.
Con questa stessa logica, quella che vede risorse naturali ed esportazioni di armi in cambio di fedeltà politica a Israele in seno all’ONU, Netanyahu è spesso riuscito a normalizzare le releazioni tra il suo Paese e varie nazioni africane. Adesso, vorrebbe applicare lo stesso modus operandi con l’Italia, potenza europea e nona economia mondiale.
Se questa strategia sia il risultato della crescente sottomissione dell’Europa a Washington e Tel Aviv, o dell’incapacità di Netanyahu di apprezzare le mutevoli dinamiche geopolitiche in tutto il mondo, è da vedere. Ma ciò che è chiaro è che Netanyahu ha percepito l’Italia come un Paese disperatamente bisognoso di aiuto da parte di Israele. Durante l’incontro con Giorgia Meloni, ha promesso di fare dell’Italia un hub del gas per l’Europa e aiutare Roma a risolvere i suoi problemi idrici, mentre Meloni, dal canto suo, ha ribadito che “Israele è un partner fondamentale in Medio Oriente e a livello globale”.
La reazione più entusiasta alla visita di Netanyahu, però, è arrivata dal ministro delle Infrastrutture italiano, Matteo Salvini, che ha sostenuto con forza l’appello israeliano a riconoscere Gerusalemme come sua capitale “in nome della pace, della storia e della verità”. Questa risposta, sebbene incoerente con la politica estera italiana, non è certo una sorpresa. Il leader della Lega, che è stato spesso criticato per il suo linguaggio razzista, ha cercato di darsi un tono sullo scacchiere internazionale, soprattutto con la visita in Israele nel 2018, dove ha dichiarato il suo amore per Israele criticando aspramente i palestinesi.
Ma la posizione di Salvini, purtroppo, non è isolata. Il governo italiano ha accolto la visita di Netanyahu senza muovere neanche una sola critica alle politiche estremiste del suo governo di estrema destra condotte nella Palestina occupata. Purtroppo, questo non sorprende nemmeno dal punto di vista ideologico.
Sebbene la politica italiana abbia, in passato, mostrato grande solidarietà con la lotta del popolo palestinese per la liberazione e il diritto all’autodeterminazione – grazie alle forze rivoluzionarie che hanno avuto un enorme impatto nel plasmare la politica italiana durante la seconda guerra mondiale e la successiva liberazione del paese dal fascismo – questa posizione è cambiata nel corso degli anni. Mentre la stessa politica italiana si spostava sempre più verso destra, la sua agenda in materia di politica estera aderiva sempre più profondamente verso posizioni filo-israeliane. Attualmente, nella politica italiana, i filopalestinesi sono pochi e spesso associati a posizioni radicali.
Tuttavia, nonostante la posizione filo-israeliana ufficiale, le cose per Netanyahu non sono così facili come potrebbero sembrare, soprattutto quando per quanto riguarda l’eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele.
Meloni, in effetti, non ha espresso alcun impegno nei confronti della richiesta israeliana. Al contrario, in un’intervista alla Reuters dello scorso agosto, ancor prima di diventare presidente del Consiglio, è apparsa cauta, limitandosi ad affermare che si tratta di “una questione diplomatica da valutare insieme alla Farnesina”.
C’è un motivo dietro la sua esitazione. Prima di tutto, il riconoscimento italiano di Gerusalemme come capitale di Israele porrebbe Roma al di fuori del consenso del diritto internazionale. In una lettera aperta alla Meloni, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, ha ricordato al governo italiano che il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale.
La politica estera italiana deve necessariamente rispondere anche alle politiche dell’Unione Europea, di cui Roma è parte integrante. L’UE sostiene la posizione dell’ONU secondo cui Gerusalemme est è una città palestinese occupata e che considera illegale l’ annessione della città da parte di Israele, avvenuta nel 1980.
Inoltre, il recente accordo storico dell’Italia con la società del gas statale algerina, Sonatrach, nello scorso mese di gennaio, rende particolarmente difficile per Roma assumere una posizione così estrema a sostegno di Israele. Per i delicati equilibri geopolitici derivanti dalla crisi del gas – anch’essa conseguenza diretta della guerra tra Russia e Ucraina – ogni mutamento di posizione su Palestina e Israele sarebbe una sorta di atto di autolesionismo.
Per l’Italia, almeno per ora, il gas arabo è molto più importante di qualsiasi offerta avanzata da Netanyahu. Il nuovo accordo tra Roma e Algeri garantirebbe all’Italia 9 miliardi di metri cubi di gas, in aggiunta alla fornitura di gas che già scorre attraverso il gasdotto TransMed, ha riferito ‘BNE Intellinews’. Questa infrastruttura vitale collega l’Algeria all’Italia attraverso la Sicilia tramite gasdotti che passano sotto il Mar Mediterraneo. “È stata già pianificata l’espansione di queste rotte vitali, con l’obiettivo di aumentare l’attuale capacità di 33,5 miliardi di metri cubi all’anno”, si legge ancora sul sito di notizie finanziarie.
Meloni, sebbene non particolarmente sensibili ai temi del diritto internazionale, capisce bene che gli interessi economici prevalgono sull’ideologia. “Oggi l’Algeria è il nostro primo fornitore di gas”, ha dichiarato in conferenza stampa ad Algeri subito dopo la firma dell’accordo. Un accordo che, stando alle sue parole, “potrebbe proteggere l’Italia dalla crisi energetica in corso”.
Un fatto di tale portata renderebbe impossibile per l’Italia deviare, almeno per ora, dalla sua attuale posizione su Gerusalemme e sull’illegalità dell’occupazione israeliana della Palestina. Mentre Israele stenterebbe a convincere l’Italia a cambiare posizione, l’Algeria, la Tunisia e altri Paesi arabi potrebbero finalmente trovare una leva per dissuadere Roma dal suo cieco sostegno a Tel Aviv.
AGGIORNAMENTO: Il 24 marzo, dopo la pubblicazione di questo articolo su The Palestine Chronicle, il Ministero degli Esteri italiano ha dichiarato che “l’Italia non riconosce l’annessione ad Israele di Gerusalemme Est, né riconosce Gerusalemme come capitale di Israele.”
– Romana Rubeo è una giornalista italiana, caporedattrice del The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi in varie pubblicazioni online e riviste accademiche. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, è specializzata in traduzioni giornalistiche e audiovisive.
– Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net
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