Il prezzo della solidarietà: Palestina, Indonesia e il dilemma dei ‘diritti umani’

Una manifestazione in solidarietà con la Palestina a Giacarta, Indonesia. (Foto: via MEMO)

By Ramzy Baroud

Quando la scorsa settimana ho condiviso con entusiasmo la notizia sui social media che l’isola indonesiana di Bali si era rifiutata di ospitare la squadra israeliana nell’ambito del torneo di calcio della Coppa del Mondo Under 20, che si sarebbe dovuto tenere nelle città di tutto il Paese dal 20 maggio all’11 giugno (sebbene l’Indonesia sia stata ora privata dei diritti di hosting [ospitalità] dalla FIFA), alcuni lettori non sono rimasti impressionati.

Anche se ogni notizia relativa a Palestina e Israele genera spesso due tipi di risposta nettamente diversi, l’ultimo atto di solidarietà indonesiana con il popolo palestinese non è riuscito a impressionare nemmeno alcuni attivisti filo-palestinesi in Occidente. La loro motivazione non aveva nulla a che fare con la Palestina o Israele, ma con la situazione dei diritti umani del governo indonesiano.

Questa presunta contrapposizione è tanto onnipresente quanto problematica. Alcuni dei più autentici atti di solidarietà con i palestinesi, o altre nazioni oppresse nel Sud del Mondo, tendono ad aver luogo in altre nazioni del Sud. Ma dal momento che sono spesso accusati di avere una cattiva reputazione in materia di diritti umani da parte dei governi occidentali e dei gruppi per i diritti con sede in Occidente, questi gesti di solidarietà sono spesso accusati di essere privi di sostanza.

A parte l’uso dei diritti umani e della democrazia come arma, da parte dei governi occidentali, vale la pena soffermarsi su alcune delle preoccupazioni relative alle violazioni dei diritti umani: ci si può fidare di coloro che non rispettano i diritti del proprio popolo per difendere i diritti degli altri? Sebbene intellettualmente intriganti, l’argomento e la domanda mancano di autoconsapevolezza, puzzano di privilegio e riflettono una scarsa comprensione della storia.

Primo, la mancanza di autoconsapevolezza. In Occidente, la difesa dei diritti palestinesi si basa sul raggiungere, educare e fare pressioni su alcune delle potenze coloniali e neocoloniali più distruttive del mondo. Questa difesa include l’impegno civile con i Paesi che, ad esempio, hanno invaso l’Iraq e l’Afghanistan, martoriato l’Africa e continuano a soggiogare molte nazioni del Sud del Mondo. Questi governi occidentali sono stati anche quelli che hanno affidato le sorti della Palestina al movimento sionista (il Regno Unito) o che hanno sostenuto Israele militarmente, finanziariamente e politicamente per generazioni (gli Stati Uniti e altri). Anche se sono stati compiuti pochi veri progressi in termini di sostanziali allontanamenti politici da Israele, continuiamo a impegnarci con questi governi nella speranza che arrivi un cambiamento.

Raramente gli attivisti occidentali usano argomentazioni simili a quelle esposte contro l’Indonesia, o altri Paesi asiatici, africani, arabi o musulmani. Personalmente, mai una volta mi è stato ricordato il conflitto morale nel perseguire la solidarietà dei governi occidentali che hanno a lungo investito nell’oppressione del popolo palestinese.

Secondo, il diritto. Per molti anni, e in particolare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i governi occidentali hanno cercato di svolgere il ruolo di giudice, giuria ed esecutore. Hanno redatto il diritto internazionale, ma lo applicano solo in modo selettivo. Hanno approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma determinano egoisticamente chi è meritevole di questa umanità. Hanno lanciato guerre in nome della difesa degli altri, ma hanno lasciato dietro di sé più morte e caos di quanti ne esistessero prima di questi “interventi umanitari”.

Alcuni attivisti per i diritti umani in Occidente raramente si rendono conto che la loro influenza deriva in gran parte dalla loro posizione geografica e, cosa più importante, dalla cittadinanza. Ecco perché Hannah Arendt ha giustamente sostenuto che gli individui possono godere dei diritti umani solo una volta ottenuto il diritto di essere cittadini di uno Stato nazionale. “I diritti umani perdono tutto il loro significato non appena un individuo perde il suo contesto politico”, ha scritto nel suo libro fondamentale: “The Right to Have Rights” (Il Diritto ad Avere Diritti).

Sebbene alcuni attivisti abbiano pagato a caro prezzo la loro sincera solidarietà con il popolo palestinese, altri intendono la solidarietà in termini puramente concettuali, senza considerare i numerosi ostacoli politici e, a volte, i compromessi che una nazione occupata deve affrontare.

Il fatto che le società civili palestinesi abbiano lanciato il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni nel 2005 riflette la consapevolezza tra i palestinesi che ci vorrà più di singoli atti di solidarietà per porre fine all’occupazione israeliana e smantellare l’Apartheid israeliano. Il disinvestimento significa che le società che beneficiano dell’occupazione israeliana devono recidere i loro legami con Israele, anche se alcune di queste società possono avere pratiche discutibili.

La stessa logica si applica alle sanzioni, che richiederebbero una forte volontà politica da parte dei governi di emarginare Tel Aviv fino alla fine della sua occupazione, rispettare il diritto internazionale e trattare i palestinesi come cittadini uguali.

Se avere un perfetto rispetto dei diritti umani fosse un prerequisito per il sostegno del governo, non molti Paesi, se non nessuno, si qualificherebbero. Le persone oppresse semplicemente non possono avere tale diritto, in quanto non hanno il privilegio o il peso per plasmare una solidarietà globale perfettamente coesa.

Infine, la necessità di una migliore comprensione della storia. Prima della firma degli Accordi di Oslo da parte della dirigenza palestinese e di Israele nel 1993, il termine “diritti umani” era una componente importante nella lotta palestinese. Ma non è stata l’unica e nemmeno la principale forza trainante dietro la richiesta palestinese di libertà. Per i palestinesi, tutti gli aspetti della resistenza, incluso il perseguimento dei diritti umani, facevano parte di una più ampia strategia di liberazione.

Oslo ha cambiato tutto questo. Ha evitato termini come Resistenza e ha ridefinito la lotta palestinese, da una di liberazione a una per i diritti umani. L’Autorità Palestinese ha rispettato il compito assegnatole e molti palestinesi sono stati al gioco, semplicemente perché sentivano di non avere alternative.

Tuttavia, spingendo sui diritti umani, i palestinesi sono rimasti intrappolati in priorità interamente occidentali. Il loro linguaggio, che in passato era coerente con i proclami rivoluzionari dei movimenti anticoloniali in Medio Oriente, Africa e nel resto del Sud del Mondo, è stato modificato per fare appello alle aspettative occidentali.

Ciò non dovrebbe suggerire che i movimenti anticoloniali non sostenessero gli argomenti sui diritti umani. Infatti, tali argomenti sono stati al centro delle valorose lotte e dei sacrifici di milioni di persone in tutto il mondo. Tuttavia, per loro, i diritti umani non erano una posizione morale isolata, una posizione politica da utilizzare o manipolare per evidenziare la superiorità morale dell’Occidente sugli altri, o per sanzionare i Paesi poveri, spesso al fine di esigere concessioni politiche o economiche.

I palestinesi hanno a cuore i diritti umani delle altre nazioni. Dovrebbero, perché hanno sperimentato in prima persona cosa significa essere privati ​​dei propri diritti e della propria umanità. Ma non sono nemmeno nella posizione, né dovrebbero esserlo, di condizionare la solidarietà degli altri nell’agenda politicizzata dei diritti umani dell’Occidente.

(Leggi l’originale inglese qui)

- Ramzy Baroud is a journalist and the Editor of The Palestine Chronicle. He is the author of six books. His latest book, co-edited with Ilan Pappé, is “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out”. Dr. Baroud is a Non-resident Senior Research Fellow at the Center for Islam and Global Affairs (CIGA). His website is www.ramzybaroud.net

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