Hind Rayan tra la metafisica di Netanyahu e la disconnessione dalla realtà occidentale

Hind, 6 anni, è rimasta intrappolata all'interno di un veicolo colpito dalle forze di occupazione israeliane a Gaza. (Foto: PCRS)

By Jamal Kanj

A differenza di un bambino israeliano privilegiato, che forse ora vive nella casa di famiglia di Hind, lei è nata da due genitori sfollati, ha sopportato una vita di stenti, e infine è stata assassinata dall’artiglieria dei carri armati israeliani.

Lasciatemi iniziare questo pezzo condividendo la storia di una bambina di Gaza. A differenza di tua figlia, sorella o nipote, Hind Rajab non è vissuta abbastanza da vedere il suo sesto compleanno.

I bambini della sua età hanno grandi progetti, hanno impazienza di iniziare la scuola e si impegnano a giocare con i Lego. A sei anni, Hind, fissava invece la morte negli occhi, attraverso la canna scura di una mitragliatrice israeliana.

Lo zio di Hind, Bashar Hamada, stava guidando una Kia Picanto nera, insieme alla moglie e i loro figli: Sarah di 4 anni, Mohammed, 11, Raghad, 12, Sana, 13, Layan 15, insieme alla loro cuginetta di 6 anni, Hind. 

Bashar stava eseguendo ordini israeliani, che avevano imposto una “zona sicura” per la famiglia e la nipote. Non essendo rimasto più spazio nella piccola vettura, la madre e i fratelli maggiori di Hind erano fuggiti a piedi.

Il 29 gennaio, poco dopo l’una del pomeriggio, un carro armato israeliano ha bloccato la strada davanti all’auto. Bashar ha sventolato freneticamente una bandiera bianca. La mitragliatrice sulla torretta ha puntato verso la loro auto. Il mirino della mitragliatrice proteggeva il volto dell’artigliere, mentre il carro armato mirava il  pesante cannone in direzione dell’auto. Quel minaccioso buco nero di 120 mm li stava fissando. I bambini hanno gridato terrorizzati. All’improvviso, un bagliore ardente e una palla di fuoco hanno lampeggiato dalla mitragliatrice. Una raffica di proiettili ha frantumato il parabrezza, i proiettili sono esplosi sulla carrozzeria dell’auto.

Hind è caduta tra il sedile posteriore, e la zia seduta davanti. Layan, dall’altra parte del sedile posteriore, si è schiacciata dietro al padre seduto al posto di guida. I corpi di Sana e Raghad sono rimbalzati avanti e indietro, mentre i proiettili li colpivano. 

Il sangue ancora caldo è schizzato sui loro volti, anche Layan ha cominciato a sanguinare, mentre Hind tremava di terrore, riparata sotto il corpo senza vita del cugino, Raghad.

Alle 14:28, Omar dal centro operativo della Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) a Ramallah, era in contatto con la quindicenne Layan.

“Ci stanno sparando”, urla assordanti. “Il carro armato è accanto a me”, ha gridato con orrore.

“Ti stai nascondendo?” ha chiesto Omar.

Gli spari hanno risuonato in sottofondo; Layan strillava. Poi, all’improvviso, è caduta la linea.

Sotto shock e traumatizzato, Omar è corso a cercare la sua collega, Rana Faqih, in un’altra stanza. Le ha raccontato tutto quel che aveva sentito. Con il cuore che le scoppiava nel petto, Rana lo ha guidato nella sala delle comunicazioni, chiedendogli di ricomporre il numero. Gli tremavano le dita sulla tastiera mentre richiamava quel numero di telefono, alla disperata ricerca di un qualsiasi segno di vita.

Hind ha risposto, ma la sua voce non arrivava chiara.

“Sei in macchina adesso?” le hanno chiesto.

“Sì”, ha risposto la vocina.

Omar ha passato la comunicazione  a Rana, lei ha provato a parlare con calma a Hind, promettendole che di restare in linea con lei fino all’arrivo dei soccorsi.

La voce di Hind crepitava dentro al segnale instabile, Rana non riusciva a sentire bene.

“Con chi sei?” ha chiesto Rana.

“Con la mia famiglia”, la voce di Hind tremava.

Rana ha domandato a Hind la condizione degli altri occupanti dell’auto.

“Sono morti”, ha risposto la vocina dall’altra parte.

“Come è stata colpita l’auto?” ha chiesto Rana.

“Un carro armato.” Hind respirava pesantemente. “Il carro armato è accanto a me, viene verso di me, è molto, molto vicino”, ha gridato disperata.

Tentando di nascondere la paura nella sua voce, Rana continuava a rassicurare Hind, promettendole di organizzare l’aiuto il più rapidamente possibile.

“Non aver paura”, diceva a Hind. “Non ti faranno del male. Non lasciare la macchina.” Ma dubitava delle sue stesse parole.

E’ seguito il silenzio per lunghi secondi. Rana non capiva se il suo panico fosse evidente quanto quello di Omar, che stava sudando.

“Se potessi tirarti fuori, lo farei.” Rana ha cercato di coinvolgere Hind. “Stiamo facendo del nostro meglio.”  trattenendo le lacrime per mantenere una voce ferma.

“Per favore, vieni a prendermi”, ripeteva Hind ancora e ancora: “Vieni a prendermi”. In sottofondo un lontano rombo di fuoco. “Vieni a prendermi”, implorava Hind disperata.

Intorno alle 15, i colleghi di Rana hanno individuato la posizione dell’auto vicino all’Università di Al-Azhar. Tuttavia, l’accesso a un’ambulanza in una zona militare chiusa richiedeva l’autorizzazione dell’esercito israeliano. Rana ha immediatamente contattato un funzionario del Ministero della Salute palestinese (PMH), fornendo la posizione di Hind e chiedendo il permesso all’esercito israeliano di inviare un’ambulanza. Il funzionario del PMH, Fathi Abu Warda, si è rivolto al Coordinatore delle attività governative nei territori (COGAT) per garantire un passaggio sicuro ai paramedici.

Aspettando con ansia la risposta, Rana è rimasta al telefono con Hind. Dopo ore dal contatto di Abu Warda con il COGAT, il freddo e l’oscurità si sono sovrapposti al tramonto.

“Ho paura del buio”, ha detto Hind.

“Ci sono spari intorno a te?” domandava Rana.

“SÌ. Vieni a prendermi”, pregava ancora Hind. “Ho tanta paura, per favore vieni.” Rana era impotente.

Intorno alle 18, il COGAT ha autorizzato il funzionario del PMH a inviare un’ambulanza. Con il via libera concesso, il PCRS ha ritenuto sufficientemente sicuro inviare solo due persone, Youssef Zeino e Ahmed Al-Madhoon.

L’ambulanza è giunta a pochi metri dalla Kia. Rana ha provato un’ondata di sollievo, Hind era quasi salva. Ma il rapporto dei paramedici al centralinista ha distrutto le sue speranze: un carro armato israeliano li stava puntando con un raggio laser. Hanno udito degli spari e una forte esplosione. Poi, un silenzio inquietante. Il contatto con la squadra dell’ambulanza e Hind  era perso, Rana è precipitata in uno stato di profonda angoscia.

Per 12 giori, la madre di Hind ha sopportato il tormento di non sapere nulla della sua bambina di 6 anni, e dei due uomini coraggiosi che erano stati autorizzati dall’esercito israeliano a salvarla. Si è aggrappata alla speranza, pregando che fossero stati arrestati dall’esercito israeliano. Ogni volta che sentiva la sirena di un’ambulanza, o vedeva le luci lampeggianti, il cuore le batteva forte, forse finalmente poteva esserci Hind.

Il 13° giorno, quando i carri armati israeliani si sono ritirati dall’area, è stata trovata la Kia, con i tristi resti della tragedia. Tra i corpi in decomposizione di due adulti e sei bambini, c’era anche la piccola Hind, dietro al sedile del passeggero anteriore. A pochi metri di distanza, tra le rovine dell’ambulanza bruciata, giacevano i resti carbonizzati dei due paramedici, i loro corpi mescolati ai rottami.

Se Hind fosse stata un’ucraina di nome Kateryna o una ragazza israeliana, il suo volto sarebbe apparso su tutti gli schermi televisivi occidentali. I media “liberi” avrebbero intervistato sua madre e ogni membro sopravvissuto della famiglia.

A differenza di un bambino israeliano privilegiato, che avrebbe potuto vivere nella casa di Hind, lei è nata da due genitori sfollati, ha sopportato una vita di indigenza, e infine è stata assassinata dall’artiglieria dei carri armati israeliani. La sua memoria è stata silenziata dai media occidentali “liberi”, scoraggiati da quelle “vittime di professione” e dal timore di essere etichettati come “antisemiti” in caso avessero denunciato le atrocità e le ingiustizie israeliane.

Hind, insieme alla sua famiglia e ai paramedici, non è un’eccezione nella guerra di Israele contro i civili. Sono stati assassinati secondo le stesse regole inflitte da Israele contro i tre prigionieri israeliani in fuga, che sventolavano una bandiera bianca nelle strade di Gaza. Dopotutto, l’esercito israeliano è il prodotto di una cultura intrisa da dichiarazioni come quelle del loro Presidente, che ha detto “l’intera nazione è responsabile”

Hind è una degli oltre 12.000 bambini citati nelle promesse di Netanyahu, che il 28 ottobre 2023, erano stati inclusi dentro un progetto di vendetta: “ricorda ciò che Amalek ti ha fatto, noi ricordiamo.” Il riferimento risale a un versetto della Torah che invita a “uccidere sia l’uomo che la donna, il bambino e il lattante”.

I principali media occidentali, insieme ai governi, sono stati direttamente complici nel consentire i crimini di Netanyahu a livello diplomatico, finanziario e militare, nel corso di questo genocidio “biblico” contemporaneo. 

I media sono diventati uno strumento per le pubbliche relazioni israeliane, e rispettano direttive precise, come quella di non inviare corrispondenti per coprire il conflitto dall’interno di Gaza, facendo lavorare invece i propri reporter ‘embedded’ nell’esercito e riportando solo ciò che Israele permette di vedere.

Questo ha rafforzato i pregiudizi  del Presidente americano Joe Biden, e dei leader occidentali in generale. La loro interpretazione della realtà a Gaza, e Palestina in generale, è costruita su convinzioni preconcette, indipendentemente dall’evidenza contraria. Allo stesso modo, i media “liberi” occidentali continuano a commercializzare vere e proprie bugie, ben oltre la disinformazione, creando così una disconnessione dalla realtà, modellando prospettive e percezioni degli individui in modo che divergano dalla realtà oggettiva.

Ad esempio, in mancanza di obiettivi militari, i media occidentali hanno fatto eco acriticamente alle bugie israeliane, dipingendo i centri medici come presunti centri di comando, giustificando le azioni israeliane volte a distruggere strutture mediche vitali, arrestando personale medico con falsi pretesti e in chiara violazione del diritto internazionale. 

Tutto ciò ha causato la morte di neonati nelle incubatrici, e la morte di feriti privati ​​di ossigeno e supporti vitali. Questo schema è continuato, mentre le forze israeliane avanzavano da un ospedale (presunto obiettivo militare) a quello successivo, raggiungendo infine Rafah, al confine meridionale di Gaza.

Rafah, originariamente designata da Israele come “zona sicura”, è un’area di 23 miglia quadrate che attualmente ospita 1,4 milioni di persone, ovvero circa 61.000 individui per miglio quadrato. Di questi, il 71% sono stati sfollati con la forza da Israele, dal centro e dal nord della Striscia. 

La strategia israeliana, che assegna una regione di confine definendola “zona sicura”, sovrappopolandola di sfollati, e infine trasformandola in teatro di guerra, fa parte dell’obiettivo finale di pulizia etnica e sfollamento dei palestinesi nel deserto del Sinai.

Nonostante tutto ciò, la realtà distorta, perpetuata da un razzismo occidentale profondamente radicato, oscura la capacità dell’Occidente di riconoscere un collegamento evidente che guida le moderne atrocità israeliane, e la convinzione metafisica, vecchia di 3000 anni, di provocare una distruzione totale per “uccidere uomini, donne, bambini e neonati, bovini e pecore, cammelli e asini”. Spingono le persone fuori dalle loro case, in una ripetizione della “Nakba” del 1948, verso terre straniere.

Con il sostegno americano al nuovo falso “profeta” israeliano, agli indugi europei e all’impotente comunità internazionale, più specificamente alle nazioni arabe e musulmane, Rafah potrebbe effettivamente rappresentare l’ultima fase di resistenza contro la crociata “celeste” di Netanyahu,  in questo atto finale di genocidio biblico israeliano contro il nuovo “Amalek” a Gaza.

Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui. 

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