By Redazione Palestine Chronicle
The Palestine Chronicle invita tutti i media a cessare diffamazione e molestie nei confronti del Palestine Chronicle e del suo team, inoltre invita le autorità governative statunitensi a indagare e fermare le minacce alla vita e alla sicurezza del personale del Palestine Chronicle e dei loro familiari.
Il Palestine Chronicle ritiene responsabili tutti le parti che hanno diffamato il Palestine Chronicle e mobilitato odio contro il Palestine Chronicle, per qualsiasi danno che potrebbe derivare da questa campagna d’odio coordinata.
L’appello fa seguito a una campagna ben coordinata, che coinvolge gruppi europei di estrema destra e attivisti filo-israeliani con sede negli Stati Uniti, che hanno lanciato accuse infondate contro il Palestine Chronicle e il suo staff. Attraverso bugie sensazionalistiche e razzismo anti-palestinese, la campagna sembra essere un’estensione degli sforzi per mettere in pericolo, disumanizzare ed espandere violenza contro i palestinesi, e contro tutti coloro che elevano la loro voce. La campagna sembra anche essere un ampliamento degli sforzi israeliani volti a cancellare, demonizzare e giustificare il massacro senza precedenti dei giornalisti palestinesi.
La campagna è iniziata il 9 giugno, il giorno successivo a un’operazione militare israeliana nel campo profughi di Al Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza, che mirava a recuperare i prigionieri tenuti da gruppi palestinesi nella zona.
La missione di salvataggio è riuscita a liberare quattro ostaggi, ma al prezzo dell’uccisione di 274 civili palestinesi e del ferimento di altri 800. Secondo una dichiarazione di Hamas tre prigionieri, tra cui un cittadino statunitense, sono stati uccisi dagli stessi militari israeliani.
La versione ufficiale israeliana della storia è cambiata nei giorni successivi, sia riguardo a dove fossero tenuti esattamente i prigionieri, sia da chi e in quali condizioni.
A harrowing account provided by Euro-Med Human Rights Monitor concerning the Israeli massacre today in Al-Nuseirat refugee camp reveals the following:
The Israeli army used a ladder to infiltrate the home of Dr. Ahmed Al-Jamal. Upon encountering his wife Fatima on the staircase,… pic.twitter.com/1XJEivRpZc
— Quds News Network (@QudsNen) June 8, 2024
Una componente importante della narrazione israeliana sembrava concentrarsi su un giornalista palestinese freelance, Abdallah Aljamal, e sulla sua famiglia – tra cui suo padre, il dottor Ahmed Aljamal, e sua moglie, Fatima – che, secondo EuroMed Human Rights Monitor , sono stati giustiziati davanti ai loro figli dalle forze israeliane, le quali hanno invaso il loro appartamento, sito al primo piano di uno degli edifici attaccati.
L’esercito israeliano, senza fornire alcuna prova, secondo la CNN, ha accusato la famiglia di Aljamal di tenere prigioniera l’ex ufficiale della marina israeliana Noa Argamani. Ben presto la versione è cambiata, ed è stato dichiarato che la famiglia avrebbe detenuto altri tre ostaggi, non Argamani.
I filmati diffusi dall’esercito israeliano, tuttavia, hanno mostrato che l’appartamento dove presumibilmente erano tenuti gli ostaggi, non era quello della famiglia Aljamal, sempre secondo EuroMed Monitor.
Breaking: The Israeli army has just released a video of the operation to rescue the Israeli hostage, Argamani. From viewing the footage, it is clear and certain that it was not the home of journalist Al-Jamal, as initially claimed by the Israeli Foreign Ministry.
— Ramy Abdu| رامي عبده (@RamAbdu) June 15, 2024
Mentre il governo israeliano, e fonti militari, continuavano a promuovere una falsa narrazione riguardo quanto accaduto a Nuseirat quel giorno, una campagna internazionale, che ha coinvolto noti individui e organizzazioni filo-israeliane e di estrema destra, ha iniziato a promuovere l’informazione che Aljamal fosse il responsabile degli ostaggi.
E, ancor peggio, sono arrivati ad accusare Al Jazeera e The Palestine Chronicle di aver “assunto” il presunto sequestratore, Abdallah Aljamal.
La campagna diffamatoria, che ha continuato a crescere nei media di destra negli Stati Uniti, come ad esempio il New York Post e il Free Beacon, insieme ai giornali israeliani di destra, si è poi spostata verso un obiettivo diverso: è stata chiesta la rimozione del Palestine Chronicle dallo status di esenzione fiscale.
Al Jazeera ha prontamente dichiarato che Aljamal non lavorava per la rete di notizie. Nonostante le distanze prese dal giornalista palestinese, numerosi account di utenti Twitter, dai nomi arabi, hanno iniziato ad affermare di aver invece lavorato con Aljamal ad Al Jazeera. Nulla di tutto ciò è realistico, Aljamal ha semplicemente contribuito a un articolo pubblicato da Al Jazeera nel 2019.
Gli attacchi al Palestine Chronicle sembravano concentrarsi sulla diffamazione delle istituzioni educative, e degli enti di beneficenza 501-C3 che difendono i diritti del popolo palestinese.
Tali attacchi includevano accuse infondate, secondo le quali Aljamal era stato assunto come membro ufficiale dello staff di The Palestine Chronicle.
Le case attaccate a Nuseirat non appartengono alla famiglia Aljamal – EuroMed Monitor
Il giornalismo del Palestine Chronicle è in gran parte focalizzato sul dare voce alla gente comune di Gaza, altrimenti messa in silenzio dai media mainstream, e anche da alcuni media panarabi. Per farlo, il giornale ha dato spazio a giovani giornalisti e scrittori, in grado di evidenziare le voci dei membri della loro comunità, in particolare di testimoni degli episodi più orribili del genocidio israeliano nella Striscia.
Abdallah Aljamal è stata una di queste persone, e ha dato risalto alle voci della sua stessa comunità. Spesso faceva circolare le interviste realizzate con i testimoni oculari del genocidio, e quindi proponeva l’intervista, cioè le parole di altri membri della comunità, per la pubblicazione.
Il Palestine Chronicle, come altri organi di stampa inglesi e arabi, hanno utilizzato le sue interviste. Aljamal non ha fornito articoli analitici o editoriali, non era un membro ufficiale dello staff del Palestine Chronicle, e non si è fatto pagare per i lavori eseguiti durante la guerra. Le sue storie erano resoconti e testimonianze di vittime palestinesi, che hanno perso le loro case o i loro cari nel genocidio di Gaza.
Sebbene il Palestine Chronicle lo abbia chiarito in modo esaustivo tramite una dichiarazione, la campagna di diffamazione ha insistito sul fatto che Aljamal fosse un membro ufficiale dello staff.
Per evitare ulteriori molestie e minacce ai suoi redattori, e ai membri del consiglio, il Palestine Chronicle è stato costretto a prendere la decisione di rimuovere alcuni di questi nomi dalla sezione “Chi siamo”.
Di seguito è riportata una cronologia provvisoria di quel che è accaduto dopo il massacro di Nuseirat, con tweet e collegamenti ad alcuni individui, organizzazioni, ed entità che hanno alimentato la campagna diffamatoria.
Cronologia
Sabato 8 giugno
– Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari annuncia il salvataggio dei prigionieri.
– Nel tentativo di giustificare l’uccisione di massa di civili, il resoconto ufficiale di Israele, gestito dal Ministro degli Affari Esteri, condivide un post utilizzato in precedenza riguardo a un presunto gruppo Telegram associato a Hamas, in cui sostiene che “i prigionieri israeliani rilasciati erano detenuti da civili, non dalle Brigate Al-Qassam”.
Reports are emerging that the rescued Israeli hostages were being held in the homes of civilians.
Here’s just one message circulating via a Hamas telegram group:
“The Israeli prisoners which were released a short while ago were being held by civilians, not by the Al-Qassam… pic.twitter.com/xFyxmt4HBu
— Israel ישראל (@Israel) June 8, 2024
– La sera dell’8 giugno, Ramy Abdu, Presidente di EuroMed Monitor, denuncia su X le esecuzioni sul campo di Israele durante l’operazione. Secondo le stime della redazione del Palestine Chronicle, questa è stata la prima volta in cui il nome di Abdallah Aljamal è stato reso pubblico.
Abdu ha scritto:
“In una prima testimonianza, che documenta le uccisioni commesse oggi dall’esercito israeliano nel campo di Nuseirat, @EuroMedHR ha riferito che l’esercito israeliano ha utilizzato una scala per entrare nella casa del Dottor Ahmed Al-Jamal. L’esercito ha immediatamente giustiziato Fatima Al-Jamal, 36 anni, incontrata sulle scale. Le forze hanno poi fatto irruzione nella casa e giustiziato suo marito, il giornalista Abdullah Al-Jamal, 36 anni, e suo padre, il dottor Ahmed, 74 anni, davanti ai nipoti. L’esercito ha sparato anche alla figlia Zainab, 27 anni, che ha riportato ferite gravi”.
– Poche ore dopo, subito dopo la mezzanotte del 9 giugno, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth citando media arabi anonimi – e senza fornire fonti ufficiali – ha affermato che Aljamal era “un cameraman di Al-Jazeera”, e un presunto ‘Open Source Intelligence Monitor ‘, che affermava su X che Abdallah fosse “fotoreporter e scrittore/redattore” sia per Al-Jazeera che per il Palestine Chronicle (il nome del Palestine Chronicle è qui scritto in modo errato)”.
In an initial testimony documenting the killings committed by the Israeli army in the Nuseirat camp today, the @EuroMedHR reported that the Israeli army used a ladder to enter the home of Dr. Ahmed Al-Jamal. The army immediately executed 36-year-old Fatima Al-Jamal upon… pic.twitter.com/DjfjerIZTf
— Ramy Abdu| رامي عبده (@RamAbdu) June 8, 2024
Domenica 9 giugno
– La mattina del 9 giugno, il giornalista filo-israeliano Eitan Fishberger, noto per i suoi attacchi a diversi canali di social media filo-palestinesi, ha ritwittato il tweet di Ramy Abdu, manipolando deliberatamente le informazioni e collegando Aljamal ai prigionieri. Si chiedeva nel post se “un giornalista che lavora per l’organizzazione americana (facendo anche un grossolano errore di ortografia), il Palestine Chronicle” stesse “aiutando a tenere in ostaggio gli israeliani a Gaza”.
Fishberger non è stato l’unico. Post simili sono apparsi più o meno nello stesso momento, lasciando supporre che fosse in corso una campagna social media ben coordinata.
🚨 WILD: Was a journalist working for the US-bazed 501(c)(3) organization, The Palestine Chronicle, helping hold Israelis hostage in Gaza? pic.twitter.com/UhZLjsgYf6
— Eitan Fischberger (@EFischberger) June 9, 2024
– Ad esempio, Leslie Kajomowitz – che scrive nella sua biografia di X di aver lavorato vent’anni per l’informazione internazionale – ha affermato che il presidente di Euromed Monitor aveva confermato “che i prigionieri erano tenuti in case private, e che li tenevano in ostaggio il dottor Ahmed Al-Jamal e suo figlio, il giornalista Abdallah Al-Jamal, del Palestine Chronicle.
L’accusa è stata interamente inventata di sana pianta, dato che il post di Abdu non conteneva una tale dichiarazione, né l’insinuazione che il signor Aljamal stesse tenendo degli ostaggi, né era stato menzionato il Palestine Chronicle nel suo post.
Israeli hostages kept captive at the home of Gaza doctor and his journalist son, EuroMedHR confirms
We continue to see both journalists and doctors actively participating in terrorism in Gaza, this time in hostage keeping and perhaps even taking.
The chairman of EuroMedHR, Ramy… https://t.co/8hxAkLOmMf pic.twitter.com/1V8VkmGcpD
— Leslie Kajomovitz (@lkajomovitz) June 9, 2024
– Intorno alle 10:00, un post simile è stato condiviso dall’account Twitter Visegrad24, e ha raggiunto circa 2,4 milioni di persone.
Secondo Alan Macleod, autore per il rispettato organo di stampa progressista Mintpress, questo account “ha costantemente condiviso informazioni palesemente false nel tentativo di aumentare il sostegno ai crimini dello Stato di Israele a Gaza. È noto che l’account semi-anonimo che promuove l’agenda di estrema destra in tutto il mondo, è finanziato dal governo polacco, profondamente conservatore”.
Il post di Visegrad24 affermava falsamente che “l’ostaggio israeliano Noa Argamani fosse detenuta nella casa del giornalista di Al Jazeera Abdallah Aljamal”. Questo non è vero nemmeno secondo il resoconto israeliano dei tragici eventi di quel giorno.
Israeli hostage Noa Argamani was being held in the house of Al Jazeera journalist Abdallah Aljamal.
Read that again.
Gaza-based photojournalist and reporter Abdallah Aljamal was holding Noa Argamani hostage in his “spare time”.
— Visegrád 24 (@visegrad24) June 9, 2024
– Sei minuti dopo questo tweet, è stato pubblicato un commento da Eitan Fishberger, che ha ritwittato il post, affermando falsamente che il signor Aljamal era un dipendente del Palestine Chronicle.
– Intorno alle 11 (ora palestinese) di domenica 9 giugno, un giornalista no-vax e conservatore, accusato di aver diffuso pettegolezzi come “notizie”, di nome Jordan Schachtel, ha affermato, senza prove né fonti di sorta, che il Sig. Aljamal era un membro dello staff del Palestine Chronicle e che aveva “catturato” tre ostaggi.
COVER UP:
The US-based Palestine Chronicle (a 501c3 nonprofit based in Washington State) is attempting to cover up evidence of its ties to a Gaza terrorist and Hamas spokesperson.
Its staffer in question, Abdallah Aljamal, took 3 Israelis hostage before being neutralized by… pic.twitter.com/kGpVdYb7Cl
— Jordan Schachtel @ dossier.today (@JordanSchachtel) June 9, 2024
– Schachtel ha anche contattato tutti i membri del Consiglio di Amministrazione del Palestine Chronicle con un’e-mail/messaggio provocatorio.
– Solo nel pomeriggio di domenica, il suddetto account X del Ministero degli Esteri israeliano, ha collegato Aljamal ai prigionieri, ribadendo la falsa notizia (anche da parte di account israeliani) secondo la quale avrebbe tenuto in ostaggio Noa Argamani, e sostenendo che Aljamal aveva “lavorato come portavoce del Ministero del Lavoro di Hamas”, citando “fonti di Gaza” non meglio specificate.
Al Jazeera journalist by day, kidnapper by night.
According to sources in Gaza, Abdullah Al Jamal who also previously served as the spokesperson of the Hamas Ministry of Labor held Noa Argamani hostage in his home. pic.twitter.com/BMbaqDC7OM
— Israel ישראל (@Israel) June 9, 2024
Nonostante i resoconti dei principali media statunitensi, che hanno cominciato a sollevare dubbi sulla narrativa ufficiale israeliana, e nonostante una dichiarazione rilasciata dal Palestine Chronicle che chiariva il rapporto con Aljamal, la macchina della propaganda non si è fermata.
La casella di posta del Palestine Chronicle è stata inondata di messaggi provocatori, inviati da organi di stampa ultraconservatori o da “autoproclamati” giornalisti.
Il Palestine Chronicle ha ricevuto messaggi dal New York Post, dal Dispatch e da Fox News, tra gli altri. La cosa più interessante è che il testo della maggior parte di questi messaggi è molto simile, e termina spesso con la stessa domanda accusatoria, il che suggerisce che la fonte originale di questa campagna sia la stessa.
Gaza based journalist Abdullah Al Jamal held three Israeli hostages captive in his family home.
One of the last articles he published was titled “My House Will Always Be Open.”
🔗https://t.co/LBHUPakqiY pic.twitter.com/bJeltn5IMc
— Israel ישראל (@Israel) June 10, 2024
Un individuo di nome Ari Hoffman, che conduce l’Ari Hoffman Show su Talk Radio 570 KVI, ha inviato vari messaggi e diffuso notizie inventate sul suo account X, definendo il Redattore Capo del Palestine Chronicle, Dr. Ramzy Baroud “un portavoce del terrorismo islamico”.
Ironicamente, i principali redattori del Palestine Chronicle sono stati spesso affiliati a idee, valori e organizzazioni giornalistiche socialiste.
Questa campagna alla fine è culminata in un appello diretto da parte di due membri del Congresso, il deputato del Missouri Jason Smith, e il membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti per l’Oklahoma, Kevin Hern, che chiedevano all’Internal Revenue Code (IRC) di revocare lo status di esenzione fiscale del Palestine Chronicle.
The Palestine Chronicle is tax-exempt under the U.S. tax code, yet it employed a “journalist” that was holding Israelis hostage in Gaza. That’s not a journalist, that’s a terrorist.
Tax benefits should not flow to groups like this – The Palestine Chronicle (aka People Media… pic.twitter.com/MLTA57QwAq
— Rep. Jason Smith (@RepJasonSmith) June 10, 2024
Il deputato Jason Smith, convinto conservatore, è stato accusato in passato di commenti razzisti. Ad esempio, nel 2019, era stato costretto a scusarsi con il deputato democratico Tony Cárdenas, per avergli urlato “Torna a Porto Rico!” durante un momento di tensione alla Camera.
Smith è anche molto ben collegato con la lobby filo-israeliana negli Stati Uniti, in particolare con l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), che lo ha pubblicamente ringraziato il 24 aprile per la sua posizione a sostegno di Israele. Sia Jason Smith che Kevin Hern sono stati ufficialmente approvati dall’AIPAC.
Secondo AIPAC Tracker, il rappresentante Jason Smith ha raccolto quasi $ 63.000 per l’AIPAC.
Hern è stato, invece, accusato di essere una figura di spicco nei tentativi di ribaltare i risultati delle elezioni presidenziali americane del 2020.
Infine, l’attacco contro il Palestine Chronicle si è trasformato in una campagna di abusi e minacce dirette contro gli editori del Palestine Chronicle e le loro famiglie.
Ad esempio, l’indirizzo di casa dell’editore del Palestine Chronicle è stato condiviso pubblicamente online, con insinuazioni violente.
Gli individui e le organizzazioni coinvolte nella diffamazione fanno tutti parte dei soliti sospettati di campagne antipalestinesi, antiarabe e musulmane sia negli Stati Uniti che in altri paesi occidentali. Non è la prima volta che campagne di questo tipo vengono lanciate contro voci che chiedono il rispetto delle leggi internazionali, e umanitarie, in Palestina.
Tuttavia, il focus dell’ultima campagna sembra avere un significato più ampio, ovvero la diffamazione delle organizzazioni esentasse, la distrazione dai massacri israeliani a Nuseirat e altrove nella Striscia di Gaza.
Va anche detto che quest’ultima campagna di diffamazione, insieme alle bugie e alla disinformazione diffuse da Israele e dai suoi sostenitori negli Stati Uniti, e in altri paesi occidentali, è coerente con la traiettoria di bugie e inganni che ha accompagnato il genocidio fin dall’inizio.
A parte le affermazioni, da tempo sfatate, sui bambini decapitati e sugli stupri di massa del 7 ottobre, quasi ogni singola campagna di propaganda israeliana contro individui, organizzazioni o eventi specifici palestinesi che hanno avuto luogo a Gaza dall’inizio della guerra, si è rivelata falsa.
Tra gli esempi più evidenti vi sono le affermazioni israeliane riguardanti il massacro dell’Ospedale Battista Al-Ahli, il massacro, la distruzione e l’uccisione di massa dell’Ospedale Al-Shifa a Gaza City, l’esecuzione di civili, il deliberato attacco alle scuole gestite dalle Nazioni Unite e molto altro ancora.
L’ultima campagna, riguardante il massacro di Al-Nuseirat, è chiaramente mirata a denigrare i media e i giornalisti palestinesi indipendenti, sia a Gaza che negli Stati Uniti o altrove.
Sembra quasi voler essere una giustificazione per il massacro dei giornalisti e delle loro famiglie, che sono stati il bersaglio delle forze israeliane fin dall’inizio. I giornalisti hanno diritto alla protezione ai sensi del diritto internazionale umanitario, pertanto gli attacchi mirati e le uccisioni di giornalisti equivalgono a crimini di guerra, come hanno ribadito gli esperti delle Nazioni Unite il 2 giugno. In totale spregio delle norme internazionali, Israele ha finora ucciso 152 giornalisti a Gaza, e spesso diffamato accusandoli di essere “terroristi”, come nel caso del giornalista e cameraman di Al-Jazeera Hamza al-Dahdouh e Mustafa Thuraya, assassinati lo scorso gennaio.
In questo contesto, anche l’assalto contro una piattaforma palestinese indipendente, come The Palestine Chronicle, può essere interpretato come un ulteriore attacco a qualsiasi mezzo di informazione che si concentri sulle voci e sulla narrativa palestinese. Anche questa non è altro che un’estensione, non solo una copertura, del genocidio, da parte delle stesse potenze che stanno istigando il genocidio.
The Palestine Chronicle rinnova il suo appello alle autorità statunitensi, affinché indaghino su questa campagna di odio e forniscano le necessarie garanzie e protezione agli editori del Palestine Chronicle, e alle loro famiglie.
Di seguito è riportata una selezione da un lungo elenco di articoli, che condividevano informazioni false o infondate riguardanti il Palestine Chronicle e il suo rapporto con il signor Aljamal:
https://nypost.com/2024/06/17/world-news/gaza-reporter-abdallah-aljamal-worked-for-us-non-profit/
https://nypost.com/2024/06/09/world-news/gaza-journalist-held-3-hostages-in-his-home-with-his-family-israeli-military-says/
https://www.israelhayom.com/2024/06/09/idf-confirms-al-jazeeras-al-jamal-held-3-of-rescued-captives/
https://www.meforum.org/65978/abdallah-aljamal-prisoners-rights-activist-held
https://jewishchronicle.timesofisrael.com/journalist-doctor-held-israelis-hostage-in-gaza/
https://jewishchronicle.timesofisrael.com/journalist-doctor-held-israelis-hostage-in-gaza/
https://www.jpost.com/israel-hamas-war/article-805525
https://www.timesofisrael.com/idf-hamas-terrorist-and-journalist-was-holding-3-hostages-in-home-alongside-family/
https://www.foxnews.com/politics/house-republican-demands-action-against-us-nonprofit-whose-journalist-held-israeli-hostages-gaza-home
Jewish group calls on DOJ, FBI to investigate local news outlet for supporting Hamas
The Palestine Chronicle Attempts To Lessen Its Terror Connections
https://timesofindia.indiatimes.com/world/middle-east/gaza-journalist-kept-hostages-in-his-home-before-being-killed-in-israeli-raid/articleshow/110881615.cms
Traduzione di Cecilia Parodi. Leggi l’articolo in inglese qui.
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