Il 6 febbraio, il ventottenne Ali Mousa stava dormendo nella sua casa, molto lontano dal terribile terremoto che aveva appena colpito la Turchia.
Mousa, emigrato da Gaza in Gran Bretagna nel settembre 2020, si è svegliato alle 7 e ha trovato il messaggio WhatsApp di un amico, che gli chiedeva notizie dei membri della sua famiglia, che vivevano in Turchia.
Mousa si è precipitato a chiamare la madre e i tre fratelli, anche loro emigrati da Gaza alla volta di Antiochia, capoluogo della provincia turca di Hatay, una delle zone maggiormente colpite dal terremoto. Non ha ricevuto risposta.
“Non ero particolarmente spaventato, all’inizio. Si erano appena trasferiti ad Antiochia e non avevano una connessione Internet stabile. Inoltre, non mi aspettavo che il terremoto fosse stato così forte”, Mousa ha raccontato al Palestine Chronicle.
Col passare del tempo, però, la preoccupazione è cresciuta.
“Dopo aver visto le notizie e i video, sono stato assalito dall’ansia, anche perché non potevo raggiungerli”, Mousa ci ha detto.
Nel tentativo di avere notizie sulla sua famiglia, Mousa contatta dei conoscenti dei conoscenti in Turchia. Poi pensa di chiamare suo cognato in Belgio. all’uomo era stato di recente concesso asilo politico, quindi era l’unico a poter viaggiare verso la Turchia.
Mousa sarebbe volentieri partito per la Turchia in cerca della sua famiglia, ma non poteva farlo senza mettere a repentaglio la sua domanda di asilo nel Regno Unito. I suoi quattro fratelli si trovavano in una situazione simile, perché avevo fatto richiesta di asilo politico nel Regno Unito, in Belgio e in Canada.
Quando il cognato di Mousa arriva nella provincia di Hatay, tre giorni dopo il terremoto, si reca direttamente all’edificio di sette piani dove risiedeva la famiglia e scopre che, purtroppo, era completamente crollato. L’appartamento della famiglia era sito al primo piano.
“Sapere del crollo dell’edificio mi ha sconvolto”, ha detto Mousa. “Quel giorno, mio cognato ha trovato i passaporti e altri oggetti personali, ma non è riuscito a trovare i membri della mia famiglia”.
“Eravamo terrorizzati, ma abbiamo cercato di non perdere la speranza. Abbiamo pensato che forse fossero in un ospedale o in un centro di accoglienza. Tuttavia, le uniche due persone che erano riuscite a fuggire dall’edificio insistevano sul fatto che nessun altro era sopravvissuto”.
Nonostante tutto, il cognato e gli amici di Mousa passano tre giorni a cercare da soli tra le macerie, sperando di trovare qualche traccia della famiglia. Sfortunatamente, non avevano l’attrezzatura necessaria per rimuovere l’enorme quantità di detriti. E i soccorritori hanno impiegato giorni per raggiungere quella regione ad Hatay.
“I soccorritori sono arrivati dopo sei giorni. Dopo altri tre giorni, hanno trovato i corpi dei miei familiari. Erano nella tromba delle scale, tutti vicini l’uno all’altro. Forse, avevano provato a scappare senza riuscirci”, dice Mousa, con la voce rotta dal pianto.
“Dopo nove giorni sotto le macerie, ci aspettavamo che i loro corpi non fossero riconoscibili. Invece, mio cognato è riuscito a identificarli”.
Da Gaza alla Turchia
Quando la madre di Mousa, Insherah, e i suoi tre fratelli, Majd, 16 anni, Rasha, 18 e Abdallah, 14, si sono recati in Turchia nell’autunno del 2022, nutrivano grandi speranze.
Majd voleva anche curare i suoi problemi all’anca. Speravano di poter emigrare tutti in Canada, dopo un certo periodo.
“Volevano trasferirsi in Canada per condurre una vita dignitosa dopo tutte le sofferenze a Gaza. La mia famiglia ha conosciuto la povertà, a causa dell’assedio israeliano e della terribile situazione economica nella Striscia di Gaza”, ricorda Mousa.
Il padre di Mousa avrebbe dovuto raggiungere la moglie e i figli dopo aver chiuso la sua attività di fornitura di mangimi e pollame a Gaza. Sarebbero partiti per il Canada subito dopo il suo arrivo in Turchia.
In effetti, il padre di Mousa si trovava già in Egitto, diretto alla volta della Turchia, quando ha ricevuto la tragica notizia della morte della moglie e dei figli.
Il sogno impossibile della sepoltura in Palestina
La famiglia avrebbe voluto che i corpi fossero seppelliti a Gaza, ma hanno capito presto che era un sogno impossibile.
Le autorità turche hanno respinto la richiesta della famiglia perché l’emergenza creata dal terremoto avrebbe reso troppo complicato il trasporto dei feretri.
Il cognato di Mousa è l’unico membro della famiglia che ha potuto assistere alla loro sepoltura.
“Vorrei poter ottenere presto il mio status di rifugiato politico, per visitare le loro tombe e recitare Al-Fataha”, ci dice Mousa.
“Vorrei anche vedere mio padre e i miei fratelli. Abbiamo bisogno di stare vicini in questi momenti difficili”.
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